lunedì 25 agosto 2025

Caserta, Santa Maria Capua Vetere e Capua: un tesoro senza rete



La Campania continua a vivere dentro una contraddizione insanabile: da un lato la retorica di una regione ricchissima di storia, arte e cultura; dall’altro la realtà di una gestione miope e Napoli-centrica, che concentra flussi, risorse e promozione solo sul capoluogo, relegando le province al ruolo di periferia muta. È il destino della provincia di Caserta, dove i turisti arrivano a milioni, ma perlopiù vedono soltanto la Reggia. Poi tornano a Napoli, alla Costiera, a Pompei. Tutto il resto rimane invisibile.


Eppure, nel raggio di pochi chilometri, Caserta, Santa Maria Capua Vetere e Capua custodiscono un patrimonio che non teme confronti. La Reggia di Caserta, capolavoro borbonico e patrimonio UNESCO, è la calamita che attira i visitatori. Ma per la maggior parte il percorso finisce lì: i pullman scaricano davanti all’ingresso principale, le guide accompagnano le comitive negli appartamenti reali e nel parco, e nel giro di poche ore si riparte. Nessun passaggio nei borghi, nessuna sosta nei musei vicini, nessuna ricaduta reale sul territorio.


Se solo si allargasse lo sguardo, ci si accorgerebbe che a Santa Maria Capua Vetere si trovano l’anfiteatro campano – secondo al mondo solo al Colosseo – il suggestivo Mitreo, il Museo dei Gladiatori e l’Archeologico dell’Antica Capua. Più avanti, a Capua, il Museo Campano custodisce le celebri Matres Matutae, uniche al mondo. E ancora: il Duomo con il Cristo velato di Bottiglieri, fratello minore ma non meno intenso del Cristo Velato napoletano; le chiese longobarde di San Michele a Corte e San Salvatore a Corte; la basilica benedettina di Sant’Angelo in Formis, con il suo ciclo di affreschi romanici di livello europeo.


E poi c’è il simbolo della contraddizione: il Castello di Carlo V. Un bene storico imponente, testimonianza del potere imperiale e della tradizione militare, che però oggi è letteralmente prigioniero all’interno del pirotecnico militare di Capua. Nessun cittadino può entrarvi, nessun turista può visitarlo. È un castello “fantasma”, blindato da cancelli e filo spinato, dimenticato dalle istituzioni, invisibile persino a chi vive nella città. Un paradosso che dice molto: abbiamo tesori, ma ce li teniamo chiusi, sottratti alla collettività.


Di fronte a tutto questo, la domanda è inevitabile: cosa manca? La risposta è semplice: manca una rete. Non c’è un progetto capace di legare Caserta, Santa Maria e Capua in un unico brand culturale. Non c’è un itinerario unitario che trasformi questo mosaico di siti in un distretto turistico integrato. Tutto resta frammentato: qualche evento sporadico, iniziative volontaristiche delle pro loco, aperture a singhiozzo dei siti. Nel frattempo Napoli continua a drenare l’attenzione, il marketing e le risorse, lasciando la provincia casertana a spartirsi le briciole.


Un progetto di rilancio sarebbe possibile: creare un percorso che unisca Reggia, anfiteatro, Mitreo, Matres, chiese longobarde e il Castello di Carlo V. Una narrazione che vada “dal trono dei Borbone all’arena dei gladiatori, fino alla spiritualità medievale e alle fortezze rinascimentali”. Un distretto che dia fiato all’economia locale, ai ristoratori, agli artigiani, alle aziende agricole, con eventi, degustazioni, rievocazioni, laboratori didattici.


Ma perché ciò accada serve una scelta politica chiara: rompere la logica Napoli-centrica e rivendicare l’autonomia culturale della Terra di Lavoro. Senza questa scossa, Caserta continuerà a essere solo “la Reggia e niente più”, Santa Maria “un Colosseo in miniatura” e Capua “un museo vuoto e un castello blindato”.


La verità è che questo territorio ha tutto: storia, monumenti, identità, tradizioni. Ciò che manca è la volontà di metterli in rete e di renderli davvero accessibili. Fino a quando lasceremo un castello imperiale chiuso in un poligono militare, non sarà Napoli a tradirci: saremo noi stessi a condannarci all’invisibilità.



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