giovedì 16 giugno 2011

ADDIO STABILIZZAZIONE PRECARI!!!

Il testo del decreto sviluppo, che verrà portato in Aula la prossima settimana, non offre soluzione ad una speranza che era balenata da mesi e per la quale tanti supplenti avevano speso fior di quattrini: quella di giungere alla stabilizzazione lavorativa attraverso le aule dei tribunali.

Il piano di stabilizzazione dei precari prevedeva il rispetto delle leggi europee e italiane relative alla regolamentazione dei contratti a tempo determinato già applicate nel settore privato. In varie forme queste leggi prevedono, infatti, la trasformazione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato al terzo contratto stipulato o dopo aver lavorato (anche non consecutivamente) per 36 mesi con lo stesso datore di lavoro (in questo caso il MIUR).
Il punto della questione era che il Miur con una iniziativa legislativa aveva tentato di eludere proprio questa normativa comunitaria, la n. 1999/70 nonché le sentenze dei giudici favorevoli ai lavoratori precari della scuola. Il 28 aprile 2011, in conclusione dell’incontro sulle graduatorie ad esaurimento, l'Amministrazione aveva informato i sindacati circa la predisposizione da parte del Governo di un Decreto legge di "accompagnamento" che "aggirava", per i soli lavoratori della scuola, l'applicazione della normativa europea in materia di contratti a termine.
Con la motivazione della particolarità delle procedure previste per l'assunzione del personale della scuola, si proponeva di derogare dal limite del triennio come vincolo per la stabilizzazione.
La speranza dei precari risiedeva dunque nel decreto sviluppo, che, però, nel testo che ha accolto i vari emendamenti, recita categoricamente così: "Non trova applicazione l'articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 368/2001 (in base al quale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato)".
In pratica, i contratti a tempo determinato potranno trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nell’ovvio caso d'immissione in ruolo
D’altronde da più parti si levava l’obiezione che l'assunzione in blocco di tutti i precari con più di tre anni di lavoro sarebbe stata di difficile attuazione in un'unica soluzione, soprattutto in relazione alla mole di precari e molteplicità di fasce di precarie classi di concorso determinatesi negli anni.
Tuttavia non sarebbe risultato impossibile arrivare all'applicazione della normativa europea dopo un breve periodo di transizione. Per ora il decreto sviluppo ha detto no.
La via politica è sbarrata, restano le pronunce dei giudici favorevoli ai precari. Ma da sole non bastano.

sabato 4 giugno 2011

Sempre in merito alle INVALSI: non c'è obbligo per i docenti!

E' la conclusione a cui si è arrivati in Sardegna dove il direttore regionale decide sul "non luogo a procedere" nei confronti di alcuni insegnanti che si erano rifiutati di somministrare le prove nelle proprie classi.

Il comportamento mantenuto dai docenti che si sono rifiutati di somministrare le prove Invalsi ai propri alunni “non attiene a profili disciplinari in quanto inserito in un particolare contesto caratterizzato da contrapposizioni sindacali e argomentazioni portate avanti anche a livello giurisdizionale”: lo scrive il direttore regionale della Sardegna a conclusione di una lunga e complessa vicenda che si è trascinata per diversi mesi in un circolo didattico di Nuoro.
La questione risale ad alcuni mesi addietro e su di essa si era già espresso anche il Tar al quale si erano rivolti i Cobas che avevano impugnato la mancata convocazione del collegio dei docenti nel circolo didattico “Fureddu” di Nuoro.
A quel punto la dirigente scolastica della scuola aveva convocato il collegio che però aveva deliberato di non aderire alla somministrazione delle prove Invalsi.
Dopo aver chiesto lumi al direttore regionale la dirigente riconvocava il collegio.
Nella successiva seduta il collegio confermava la precedente decisione che veniva subito disattesa dalla dirigente scolastica “in virtù - scriveva la dirigente stessa -
della delega conferita dal Direttore Generale dell'Ufficio Scolastico Regionale per la Sardegna”. Contemporaneamente la dirigente mediante un apposito ordine di servizio disponeva la somministrazione delle prove e nei confronti di alcuni docenti che si rifiutavano di obbedire apriva un procedimento disciplinare.
Va anche detto che secondo la dirigente il comportamento dei docenti “disobbedienti” sarebbe stato particolarmente grave tanto che anziché ricorrere ad una sanzione di sua competenza (dall’avvertimento scritto fino alla sospensione dal servizio per non più di 10 giorni, passando anche attraverso la censura) trasmetteva gli atti all’Ufficio scolastico regionale chiedendo una sanzione superiore ai 10 giorni di sospensione.
Ed è a questo punto che la vicenda si conclude in modo del tutto imprevisto e per certi aspetti contraddittorio: nonostante i “suggerimenti” dati alle scuole e ai dirigenti scolastici fino a pochi giorni fa, il direttore regionale scrive alla dirigente scolastica e chiarisce che il comportamento dei docenti disobbedienti non è perseguibile sul piano disciplinare.
I Cobas della Sardegna commentano entusiasticamente:
“la vicenda dimostra ciò che i Cobas hanno sempre sostenuto: i quiz Invalsi non sono obbligatori”.


da: Tecnica della Scuola - 2 giugno 2011

venerdì 3 giugno 2011

Il giallo delle prove Invalsi, scricchiola il "sistema Gelmini"?

Le prove per testare il livello di preparazione degli alunni italiani svolto a maggio, ma restano i dubbi sulla loro obbligatorietà e i cobas hanno lanciato una campagna che le contesta.

Giallo sulle prove Invalsi, svolte ormai a maggio, le prove che testano il livello di preparazione degli alunni italiani. Sono obbligatorie o le scuole possono decidere di non farle? E gli insegnanti sono obbligati a somministrare i test? Dopo la lettera dell'avvocato dello Stato, Laura Paolucci, e la presa di posizione dei Cobas, la questione è tutt'altro che chiara. E le prove Invalsi, che per la prima volta diventano obbligatorie anche al superiore, rischiano di naufragare. I presidi delle scuole superiori si riuniscono, si chiamano e si interrogano sul da farsi. Alcuni chiedono al collegio di esprimersi in merito, altri inviano circolari perentorie: sono obbligatorie e occorre svolgerle. Ma come stanno in effetti le cose?
Le scuole hanno l'obbligo fare svolgere agli alunni delle scuole elementari (seconda e quinta), medie (prime) e superiori (seconda) le prove predisposte dall'Invalsi annualmente, ma gli insegnanti della scuola non hanno nessun obbligo di somministrare i questionari, di compilare le relative schede, né tanto meno di sorvegliare le classi durante lo svolgimento delle prove. Si tratterebbe, per i docenti, di lavoro straordinario che il capo d'istituto dovrebbe trovare il modo di retribuire con un compenso a parte. Se tutti i docenti a maggio si rifiutassero di "collaborare" con l'Invalsi, con quale personale potrebbe assicurare lo svolgimento delle prove il dirigente scolastico?
Ma c'è di più: le scuole non hanno fondi da distribuire per un'attività che non è contemplata nel contratto di lavoro degli insegnanti e che non si saprebbe neppure come classificare. Secondo i Cobas, che stanno portando avanti una campagna nelle scuole per fare saltare le prove, "tutto il lavoro richiesto ai docenti per la somministrazione dei test non è obbligatorio". Tutte le operazioni connesse con i test Invalsi comportano un lavoro aggiuntivo che non rientra fra i compiti "obbligatori" del docente e che, quindi, non è tenuto a svolgerlo. I docenti che decidessero di accettare tale compito aggiuntivo devono comunque essere remunerati con il fondo di istituto.
Linea sostanzialmente confermata dall'avvocato dello Stato, Laura Paolucci, in una missiva pubblicata sul sito dell'Ufficio scolastico regionale del Piemonte: le prove sono obbligatorie per le scuole e il collegio dei docenti non ha nessun potere di deliberare in merito. Gli obblighi di lavoro dei docenti sono articolati in "attività di insegnamento" e "attività funzionali all'attività di insegnamento". La somministrazione delle prove Invalsi non può essere considerata, ovviamente attività di insegnamento, né attività funzionale, in quanto il contratto le elenca. E tra queste troviamo: la preparazione delle lezioni e delle esercitazioni; la correzione degli elaborati; la cura dei rapporti individuali con le famiglie. Ma anche la partecipazione ai consigli di classe, ai collegi dei docenti, i ricevimenti con le famiglie e gli scrutini.
Di eventuali prove, come quelle Invalsi, non vi è traccia. Ma alcuni presidi contano di aggirare l'ostacolo organizzando la somministrazione delle prove durante le ore di lezione. E' possibile, in questo modo, risolvere il problema? Gli insegnanti, a questo punto, sono obbligati a svolgere un'attività diversa da quelle previste dalla cosiddetta "funzione docente"? La questione non mancherà di aprire altre polemiche, almeno fino a maggio.
Ma è l'intero sistema di valutazione messo in piedi dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, che nel complesso scricchiola. Il milleproroghe ne ha disegnato l'architettura in questo modo: l'Indire (l'Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa), che si occuperà della valutazione degli insegnanti; l'Invalsi, che testa la preparazione degli alunni, e il "corpo ispettivo", che valuterà le scuole e i dirigenti scolastici. Un sistema che si regge su "tre gambe".
Ma l'Invalsi, prima gamba del sistema di valutazione, è zoppa: potrebbe avere in futuro difficoltà a somministrare le prove agli alunni, perché nel contratto dei docenti non è previsto nessun impegno in tal senso. La seconda gamba, l'Indire, non c'è. E' stato chiuso con la finanziaria e nel 2007 e l'altro istituto, l'Ansas (l'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica)  -  che secondo i decreti del ministro Gelmini dovrebbe svolgere un ruolo di consulenza riguardo ai progetti sul merito lanciati a Milano, Napoli e Torino, per gli insegnanti, e a Siracusa, Pisa e Cagliari, per le scuole  -  è stato prorogato di un anno, ma non ha tra le sue competenze quelle di valutare scuole e insegnanti. Insomma, un pasticcio.
La cosa è emersa in commissione Cultura al Senato qualche giorno fa. "Pur prendendo atto  -  ha dichiarato il sottosegretario Giuseppe Pizza  -  delle dichiarazioni rese dal rappresentante del governo in commissione, secondo cui si tratta di un errore tecnico, resta da chiarire se è intenzione del governo attribuire all'Ansas anche compiti di valutazione ovvero modificare diversamente la norma sul milleproroghe".
C'è poi il corpo ispettivo, la terza gamba, che però ha il personale ai minimi termini. E il concorso in fase di svolgimento si preannuncia in salita: per un pasticcio nel bando, tantissimi esclusi ai test di ammissione si sono rivolti al Tar e la selezione, che comunque vadano le cose non si completerà prima di un anno, potrebbe subire uno stop, lasciando il sistema zoppo anche della terza gamba.

Qui troverete anche un video di Piero Bernocchi, segretario generale dei Cobas, che parla delle Invalsi alla trasmissione Agorà (rai3).