lunedì 15 febbraio 2021

Cosa va fatto, ora è subito, nella scuola e per la scuola

Pubblico un interessante intervento della rete saperi e cura su quali sono le priorità in questo momento


COSA VA FATTO, ORA E SUBITO, DOPO QUASI UN ANNO DI SCUOLA NELL'EMERGENZA? COME SALVAGUARDARE IL PROSSIMO ANNO SCOLASTICO? E SOPRATTUTTO: COSA E COME RECUPERARE, COME VALUTARE, IN QUEST'ANNO SCOLASTICO?


Un’intera generazione di bambin* e ragazz* attraversa un momento di difficoltà che non ha paragoni se non con gli ultimi anni della II guerra mondiale, una crisi sanitaria e sociale di livello mondiale, eppure dimostra un livello di responsabilità e compostezza inatteso. 

Eppure, di fronte a ciò, sentiamo crescere il lamento per cui si sarebbero persi dei mesi preziosi, che i ragazzi dovrebbero recuperare i vuoti generati dalla didattica a distanza. Qualcuno parla di necessità di recupero formativo, di prolungare l’anno scolastico, di “ristori” per l’istruzione….

Ai docenti si chiede di utilizzare sgangherati criteri di valutazione quali “videocamera accesa, videocamera spenta”, “si collega/non si collega”, a volte, tragicomicamente, “si collega col pigiama”! 

Allora fermiamoci, riflettiamo su quello che è accaduto nelle scuole relativamente alla valutazione in questo lungo periodo di epidemia da  Covid 19, ma soprattutto su cosa è accaduto ad una generazione: prima reclusa, poi accusata, poi “usata” politicamente, sempre trascurata. La storia della pandemia che attraversiamo può essere letta (anche) come un processo di progressivo abbandono di massa dell’infanzia e dell’adolescenza. 

Per quanto ci riguarda, noi vogliamo chiarire subito che non ci accodiamo alle tante voci che chiedono di recuperare il tempo perduto per meglio sfornare un capitale umano sufficientemente docile e “competente”, come si conviene a una “buona scuola” funzionale al mercato. Il tempo perduto non è quello dedicato al conteggio delle ore di lezione erogate e alla misurazione delle performance degli studenti attraverso test, ma è quello della condivisione dei saperi, che accade solo quando ci si confronta e si cresce insieme.

Se già in tempi “normali” la valutazione espressa in termini numerici presentava notevoli criticità, in quanto non traduceva la qualità e il vissuto dell’apprendimento, nella situazione attuale questo tipo di valutazione assume i connotati di un verdetto che non tiene conto delle difficoltà degli studenti nell’adeguarsi soggettivamente e oggettivamente alle modalità, di per sé inique, della didattica di emergenza.

Rifiutiamo il ricatto che contrappone scuola, salute e reddito, questa è la scuola-che-non-ci-piace! Rivendichiamo una scuola in presenza e allo stesso tempo in totale sicurezza, dalle aule ai trasporti.

Mettere in discussione la scuola-che-non-ci-piace significa oggi mettere in discussione che, in condizioni eccezionali, a distanza come in presenza, si possa pensare di mantenere lo stesso numero di giorni di scuola ed il monte ore settimanale. Va detto chiaramente che per alunni e docenti 5, 6 o più ore al computer non sono sostenibili, così come non lo sono in presenza bardati di mascherine e rinchiusi nei banchi. Rivendichiamo, in questa fase emergenziale, la flessibilità del monte ore scolastico annuale, così da poter ridurre immediatamente e drasticamente la densità degli studenti in aula e il numero complessivo negli istituti e sui mezzi di trasporto. Ciò consentirebbe fin d’ora una didattica con piccoli gruppi in presenza, senza dover ricorrere alla Did o alla Dad, vincolata alla qualità del tempo scuola piuttosto che al rispetto formale dei 200 giorni canonici. Individuiamo così una soluzione eccezionale per tempi eccezionali, che salvaguardi la possibilità della scuola in presenza, in serenità e in sicurezza. Sarebbe poi il momento di liberarsi anche di tutte quelle attività che, quelle si, hanno sottratto tempo ed energia che poteva essere meglio impiegata: i PCTO e tutta quella enorme quantità di progetti e progettini che hanno mortificato gli studenti e che negli ultimi mesi li hanno ancora più assurdamente costretti al PC.

Parallelamente poniamo con urgenza, per il prossimo anno scolastico, la necessità di assunzioni massicce di personale docente e non docente, l’introduzione del tempo pieno dove oggi manca e l’adeguamento strutturale degli edifici scolastici, in assenza dei quali ci ritroveremo a settembre esattamente nelle stesse condizioni. Se da tempo ci si è resi conto che ridurre il rapporto tra docenti e alunni è fondamentale, ora in questa situazione non è più procrastinabile. Questa è l’unica forma di “ristoro” efficace per il recupero di vecchie e nuove dispersioni! Il numero massimo di alunni per classe deve essere di 15, con o senza alunni diversamente abili, anche in considerazione del lunghissimo periodo di non-scuola che gli alunni hanno dovuto affrontare, nonostante i docenti abbiano lavorato il doppio che in tempi ordinari.

Mettere in discussione la scuola-che-non-ci-piace significa dire che non è ammissibile che sui più deboli, su chi ha avuto più difficoltà, precipiti la valutazione come punizione. Questo aspetto che la scuola della pandemia ha messo prepotentemente in risalto, ancora una volta è figlio di anni di riforme in senso aziendalistico. A scuola stiamo assistendo all’ennesimo affondo del discorso sulla serietà: diversamente dallo scorso anno si potrà bocciare, dunque proprio coloro che hanno più patito, cui è mancato il sostegno e per i quali nulla è stato messo in campo, né l’anno scorso né quest’anno, verranno “seriamente” valutati e bocciati. Noi rivendichiamo un anno scolastico senza bocciature e proponiamo un dieci in comportamento a tutti gli studenti italiani, dai sei ai diciotto anni. A tutti. Non un voto “politico” nel senso classico del termine, ma un dieci “generazionale”, per tutte le alunne e gli alunni mortificati e soffocati dalla pandemia e dalla sua gestione politica inadeguata.

Come non è serio pensare ad un esame di maturità che sia altro da un libero colloquio di restituzione, facendo salvo il momento simbolico del rito di passaggio. Non si può lasciare intatta la gabbia dei crediti per la definizione del voto finale: crediti che rimandano ad una concezione bancaria dell’apprendimento che sarebbe l’ora di abbandonare definitivamente. Nell’incertezza generale in cui la politica istituzionale, colpevolmente, sta ancora una volta lasciando la scuola, sentiamo comunque parlare di “curricolo dello studente”, come se si trattasse del primo colloquio di lavoro, in un momento in cui, più che mai, la ricchezza di quel curricolo ha molto a che vedere con le disparità economiche che hanno consentito di costruirlo in un modo o nell’altro.

Contestiamo, infine, la validità e la logica delle prove Invalsi, già calendarizzate per quest’anno, “arricchite” dai nuovi “test formativi” (!?!) che l’Istituto ha prodotto per individuare le carenze di apprendimento dovute “anche” alla pandemia. Chiediamo la sospensione delle prove Invalsi nelle scuole di ogni ordine e grado anche per quest’anno. È il primo passo per mettere in discussione un’idea di scuola che spende le sue energie nel “teaching to the test”, nel misurare invece di formare, ovvero nel formare un “capitale disumano”. La pandemia ce l’ha insegnato, il futuro ha bisogno di ben altri saperi, di ben altra cura, e di una scuola che ne sia all’altezza. 


RETE SCUOLA SAPERI E CURA

Osservatorio Popolare Studentesco - OPS Napoli

Associazione "Leggere per"

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